Nacque a Milano il 28 dicembre del 1915 e trascorse la sua infanzia nella città natale, con lunghe dimore per vacanze nella villa dei genitori ad Asso in Valassina.
Arturo si diplomò ragioniere presso l’Istituto Moreschi di Milano e sul finire del 1937, mentre era iscritto al terzo anno di scienze economiche dell’università Bocconi (ove successivamente si laureò), chiese di essere ammesso al Corso Allievi Ufficiali di Bassano. Iniziò così la tradizione di una famiglia che vedrà molti dei suoi componenti legati agli Alpini e all’ANA.
Il padre di sua moglie Sonia, Enrico Volpato, fu tra i soci fondatori della ANA, e anche il consuocero Ugo Colombo fu decorato in Russia con il Gruppo Bergamo. Ma l’elenco degli Alpini in questa famiglia continuò con il figlio Marco, il genero Vittorio Colombo e il nipote Matteo Colombo. Anche la figlia Gabriella è stata vicina alla nostra famiglia alpina come madrina del Gruppo di Cinisello Balsamo.
Dopo la nomina a sottotenente, nel gennaio 1939 venne assegnato alla 46ª Compagnia del Btg. Tirano.
Si congedò nell’agosto 1940 e venne richiamato nel febbraio 1941 per partecipare alle ultime operazioni belliche sul fronte greco-albanese. Nell’agosto 1942 venne destinato al Corpo di Spedizione Alpino in Russia al comando di un plotone della 46ª Compagnia cui fu assegnato l’importante caposaldo “Madonna”.
Si impegnò in azioni di pattuglia per contrastare i frequenti tentativi notturni di infiltrazione dei russi.
A seguito del cedimento del fronte, seguì le sorti della Divisione Alpina Tridentina nell’epica ritirata che, dal 17 al 26 gennaio 1943, la vide impegnata in disperate battaglie ed eroiche azioni per sfondare l’accerchiamento nemico.
Nella sola giornata del 26 gennaio 1943 agli Alpini del “Tirano” vennero concesse ben sette Medaglie d’oro individuali al Valor Militare per gli accaniti combattimenti di Arnautowo (al mattino) e Nikolajewka (al pomeriggio).
Di quella giornata Arturo Vita scrisse: “…venne improvviso un urlo a rompere quell’atmosfera, un urlo lanciato da uomini come noi ma più coraggiosi, che si erano avventati contro le difese nemiche al seguito del generale Reverberi il quale, sulla torretta dell’ultimo carro armato tedesco ancora efficiente, urlava: “Avanti Tridentina. Avanti. Di là c’è l’Italia!” E la massa si mosse, dapprima lentamente e poi sempre più veloce… “Avanti, avanti…”, si udiva gridare da più parti. “Forza ragazzi… avanti Alpini…”, e gli uomini intorpiditi, stanchi, affamati, congelati, feriti, si buttarono, nel gelo del tramonto, contro le mitragliatrici russe… ed entrammo a Nikolajewka, dopo avere perso ancora tanti dei nostri Alpini…”.
Caduto sul campo il ten. Giuseppe Grandi, comandante della 46ª che avrà la Medaglia d’oro al V.M., Arturo Vita assunse il comando dei superstiti della sua compagnia durante tutto il resto della ritirata che si concluderà a Gomel il 22 febbraio 1943 dopo aver percorso a piedi nella steppa e in condizioni climatiche inenarrabili ben 800 chilometri. Per il suo valoroso comportamento gli venne concessa una Medaglia d’argento al Valor Militare.
Dopo l’8 settembre 1943, Arturo riuscì sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi e raggiunse la Valtellina, da dove riparò in Svizzera. Prese contatto con la Legazione Italiana di Berna che lo incaricò di delicate missioni per conto del S.I.M. (Servizio Informazioni Militare). Nel dicembre 1944 venne promosso al grado di capitano.
Arturo Vita tenne una corrispondenza coi famigliari, che ricostruì una volta tornato in Italia con il suo diario, tenuto e smarrito durante la Campagna di Russia.
Commentando le sue vicende belliche nelle sue “Impressioni sulla campagna di Russia”, lucido diario della ritirata, scrisse: “Sono un ricordo tristemente confuso di morti, feriti, di urla e di gemiti, di fiumane di soldati affamati, laceri, di carri armati russi, di teorie di slitte, di aeroplani che ci mitragliavano e ci spezzonavano, di cannoni, mortai, di piste seminate di cadaveri… di fame, freddo e paura!”. E ancora scrisse dei suoi Alpini: “Gloriosi Morti nostri, lasciati a Postojalli, Sceliariko, Arnautowo, Nikolajewka e lungo le bianche piste della steppa russa, feriti, ammalati, congelati, abbandonati tutti in quel tragico calvario… Poveri morti, non avete avuto neppure l’ultimo conforto della religione, neppure la protezione di una rozza piccola Croce! A Voi dobbiamo il miracolo di essere usciti da quell’inferno; a Voi che col Vostro sacrificio avete permesso alla fiumana di passare attraverso la breccia da Voi creata nell’accerchiamento russo”.
Nel solco tracciato da quella esperienza, quasi per onorare un debito di riconoscenza, nell’immediato dopoguerra Arturo Vita partecipò attivamente alla ricostituzione della nostra Sezione ricoprendo, sotto la Presidenza del Col. Dante Belotti, dapprima la carica di Consigliere sezionale e poi quella di Vice Presidente (maggio 1954.
. In quel periodo assunse anche la carica di direttore del nostro periodico sezionale “Veci e Bocia”.
Venne successivamente eletto Consigliere nazionale dell’ANA (dal 1975 al 1977) e fu Vice Presidente nazionale dell’ANA (dal 1978 al 1980).
Col terremoto del Friuli egli venne incaricato di amministrare gli ingenti fondi raccolti dall’ANA per la ricostruzione, gestendo quel patrimonio con esemplare capacità e oculatezza.
Fu quindi chiamato alla direzione del nostro periodico nazionale “L’Alpino”, carica che coprì per ben otto anni dal maggio 1985 al luglio 1993. Nei suoi corsivi traspare tutta la sua alpinità e, nei ricordi di guerra, il culto della memoria e l’attaccamento ai suoi Alpini.
Fu coautore con Vitaliano Peduzzi, Nito Staich e Luciano Viazzi della “Storia dell’Associazione Nazionale Alpini 1919-1992”, edita nel 1993.
Morì improvvisamente il 31 dicembre 1993, e poco tempo prima di “andare avanti”(nel 1992) ricevette la comunicazione dell’avanzamento al grado di maggiore a titolo onorifico.
testo di Giuseppe Semprini
Ed ecco la motivazione della Medaglia d’argento al Valor Militare che fu concessa ad Arturo Vita:
“Comandante di plotone di compagnia alpina, per oltre 4 mesi in linea sul fronte russo, svolgeva attività intensa e fattiva, dando valido contributo all’organizzazione difensiva di posizioni importanti e delicate affidate al suo plotone e partecipando ad ardite pattuglie oltre le linee.
In aspro combattimento sostenuto per aprire la via alla colonna in ripiegamento, noncurante della violenta reazione avversaria, si prodigava instancabilmente nel fare affluire uomini e mezzi in linea. Caduto il proprio comandante di compagnia, assumeva il comando del reparto e alla testa degli alpini superstiti si lanciava all’assalto delle ultime resistenze avversarie e all’inseguimento del nemico nello sfruttamento del successo.
Pur menomato fisicamente per grave congelamento manteneva il comando del reparto riuscendo a portare in salvo fuori dal cerchio nemico oltre 120 alpini. Esempio di alto senso di responsabilità, di abnegazione e coraggio.
Medio Don – Arnautowo – Bielogorje – Nikitowka – Fronte russo, 28 agosto 1942 – 17 gennaio 1943.